Edoardo Dalbono   (Pagine 14 )      Fonte : Ritratti d'Artisti Italiani - 1911

{\rtf1\ansi\ansicpg1252\deff0\deflang1040{\fonttbl{\f0\fnil\fcharset0 Times New Roman;}{\f1\fnil Times New Roman;}{\f2\fnil\fcharset0 Arial;}} \viewkind4\uc1\pard\sb2268\sa1134\sl240\slmult1\qc\lang16\f0\fs28 Edoardo Dalbono. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\f1 -\f0 Il paesaggio? \i E ched'\'e8 nu paesaggio?\i0 Capire, godere la pittura di paese, la vera pittura di paese \'e8 difficile assai. La figura umana, i quadri di figura, quelli li capiscono tutti. Quell'uomo, quella donna, siamo io, voi, il tale e il tal altro: sono persone come noi, cogl'istinti nostri, le passioni nostre, le abitudini nostre. Ma per sentire l'anima delle montagne, delle piante, delle acque, delle nuvole, ci vuol altro! Il quadro di figura \'e8 un melodramma, con la romanzetta e la cavatina; il quadro di paese \'e8 una sinfonia. \'abAmor mio, t'adoro, t'odio! Qua il veleno, ch'io lo beva!\'bb Queste parole e questi gesti li capiscono tutti. Ma una sinfonia di Beethoven.... \i Ess\'ec, stai frisco!\i0 Per capire una sinfonia di Beethoven ci vuole tanto d'anima. Il paesaggio \'e8 sinfonia: ecco quello che \'e8. Beethoven e Turner sono vissuti nello stesso tempo. L'uno non si capisce senza l'altro. \par Edoardo Dalbono, \'e8 in piedi, magro, tutto fuoco, un po' curvo, quanto basta per ficcarvi gli occhi negli occhi pi\'f9 da vicino. \'c8 vestito d'un palt\'f2 leggero, col bavero alzato e abbottonato fino al mento; in testa ha un berretto tondo di seta nera come lo portavano l'Ingres e l'Hayez. La barbetta candida dura tormentata ora dalle mani esili, ora nel frequente volger del collo da quel gran bavero diritto, \'e8 per una parte del discorso volta a destra, per un'altra a sinistra: gl'intimi, pare, indovinano l'umore bizzarro del pittore napoletano dal volgere di quella banderuola bianca. Egli parla con tutta la persona: v'offre un argomento con le due mani tese e i polsi nudi fuor dalle larghe maniche nere, lancia un frizzo agitando la destra pi\'f9 su del capo come in un saluto d'addio, accompagna una risata chinandosi a batter le palme sulle ginocchia, conchiude un paradosso con una repentina voltata di spalle andandosene addirittura dalla stanza a piccoli passi strisciati e frettolosi. \par \f1 -\f0 Claudio, Rosa, Poussin, Turner: ecco i \i pap\'e0,\i0 i veri \i pap\'e0\i0 della pittura di paese. Fantastici? Dite poeti, dite poeti lirici: questo s\'ec! Il gran paesaggio non \'e8 fatto soltanto di realt\'e0; il gran paesaggio \'e8 inventato, \'e8 composito, capite?, com-po-si-to. In questo senso, come teoria, sono stati migliori paesisti tutt'i Calame e tutt'i Mark\'f2 di cinquanta, di sessanta, di settant'anni fa, che tutti i pittori realisti, fotografici, precisi, pettegoli di ieri e d'oggi. Dal vero si devono studiare per molti anni tutti gli elementi necessarii, uno a uno, tutte le forme, tutte le luci. Sul vero bisogna imparare che cosa diventa quella marina turchina quando appare lass\'f9 quella nuvola bianca, di che t\'f3no \'e8 quella pianura se quel monte verde \'e8 in ombra, dove va a battere e rinfrangersi il sole o la luna o un riflesso di sole o di luna quando spunta dietro quell'albero o dietro quella casa.... E dopo, dopo, soltanto dopo, si pu\'f2 cominciare a \i pittare\i0 come suggeriscono la fantasia, la poesia, il sogno, a mano libera, via, via, senza paura, francamente, sinceramente, inventando secondo le regole della natura e secondo l'ispirazione della fantasia, come fa' il Padreterno.... sissignore, il Padreterno! Il paesaggio s'ha da creare, non da copiare. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Queste verit\'e0, Edoardo Dalbono che \'e8 stato prima il discepolo poi il fratello minore di Filippo Palizzi e di Domenico Morelli e che \'e8 stato un padre per l'arte di Francesco Paolo Michetti, ce le diceva una sera a casa sua in una sala dagli ampii divani, tutta tappezzata di quadri non suoi. V'erano intorno a lui e alla signora Adele Dalbono che \'e8 la sorella del maestro Darienzo ed \'e8 una squisita e originale scrittrice di musica, pochi amici, i fedeli amici della domenica a sera: Salvatore di Giacomo, Giovanni Tesorone, il pittore La Bella che ha sposato una nipote del Dalbono. E v'erano sui divani, sulle tavole, sulle sedie, in grembo a tutti noi, i gatti, i dieci venti trenta gatti che Dalbono adora e protegge e cura e raccoglie anche moribondi in ogni parte di Napoli, battezzandoli con nomignoli di cristiani, \f1 -\f0 Peppino, Giovannino, Ciccillo, Teresa \f1 -\f0 i gatti che tutti gli amici di Dalbono sono obbligati a rispettare, ad accarezzare, magari ad eternare in poesia, in pittura, in scultura come fece ad esempio Jerace quando espose nel 1880 a Torino la statuetta di \i Sas\'e0 gatto di Dalbono\i0 . La sala \'e8 illuminata da tante lampade poggiate sui tavolini e coperte da larghi paralumi oscuri; cos\'ec i nostri volti restano in una penombra gradevole, ma ogni gesto delle nostre mani \'e8 in piena luce: un'illuminazione per napoletani che sanno gestire, e anche per artisti continuamente attivi come \'e8 Dalbono, come \'e8 stato Morelli, che anche conversando afferrano un pezzo di carta e a matita o a penna quasi distrattamente disegnano, disegnano, come un altro parla o respira. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\f1 -\f0 Del resto, la trasformazione del paesaggio \'abd'arte\'bb, \f1 -\f0 continua Edoardo Dalbono, \f1 -\f0 non \'e8 avvenuta per un capriccio degli artisti. \i St\'e1teve a sent\'ec\i0 . Una volta viaggiare era difficile, e la fotografia non esisteva: un ricco inglese incaricava Turner o Corot di riassumergli la \'abveduta\'bb, come si diceva allora, di Napoli o della Campagna romana in un quadro. E nasceva naturalmente il paesaggio composito, evocativo, espressivo dei tratti pi\'f9 caratteristici del golfo di Napoli o della Campagna romana. Poi tutti hanno potuto viaggiare; con cento lire, con mille lire tutti hanno potuto vedere tutto; hanno potuto \i cu nu mastrillo\i0 .... con una trappola da cinque lire magari fotografarsi tutto. E il paesaggio \'abverit\'e0\'bb meticoloso e preciso ha corrisposto a questa comodit\'e0 e a questa sapienza universale. Il cliente esclama: \f1 -\f0 \i Uh, Gies\'f9, quant'\'e8 bello! Ma chisto \'e8 proprio tale e quale! Chella \'e8 'a fenesta d'a cammera addo' durmevo io! Chillo \'e8 'o trammu\'e8 ca pigli\'e1vemo tutte 'e matine!\i0 Uh, quant'\'e8 bello! Si riconosce tutto! \f1 -\f0 Poter riconoscere tutto, le distanze, la casa, il monte, l'albero, \i 'o guaglione\i0 , questo \'e8 da molti anni il quadro ideale pel compratore di paesaggio, specialmente straniero. Ma ormai siamo stanchi di cercar le pulci. Ah no! Adesso tutta l'arte si trasforma, e torna a trasformare il vero secondo la fantasia, secondo l'anima dell'artista: tutta l'arte, la letteratura, la musica, e anche la pittura. E il paesaggio torna a essere quello che era prima, quello che deve essere, qualche cosa di pi\'f9 profondo e di pi\'f9 durevole della realt\'e0: la verit\'e0. \i Emb\'e8? Mo' sta cartella nun v'a pozzo apr\'ec.... \i0 Voi credereste che io abbia parlato solo per me, per difendere quel poco che so fare io. E avreste torto.... \par Dalbono, infatti, stasera ci ha promesso di farci vedere qualcuna delle sue infinite cartelle, piene d'opere sue e d'altri; e ne ha portata una intanto e ha detto queste ultime parole tenendola diritta e appoggiandoci su i gomiti come sopra un davanzale. La apre, finalmente: sono studii suoi, un tesoro ignoto. Studii ad olio, a guazzo, ad acquerello; acquarelli larghi lavati con un colore fondo e trasparente come quando nell'acqua il pittore mescola un po' di glicerina; appunti di paese segnati da brevi pennellate ad olio lievi come pastello; minuti studii d'alberi costruiti e disegnati con un'infinita pazienza d'amore. E quasi sempre, o nel fondo o in primo piano, il Golfo, veduto da Posillipo o da Miseno, da Castel dell'Ovo o da Sorrento, veduto tra rovine di templi pagani, una tarantella ballata tra due colonne corinzie inghirlandate di rose, un pescatore seduto sopra un capitello rovescio sotto un melograno fiorito, e sempre le distanze annegate in una pioggia di luce d'aurora o di tramonto, i monti, gli edifici, gli scogli lontani resi immateriali come nubi colorate che poggiandosi sul mare abbiano preso il profilo d'un castello, d'un'isola, d'una rovina note alla nostra memoria. I paesisti romantici, Hubert Robert o Turner, ad ogni foglio ci tornano alla memoria; e anche ci appare, attraverso a una pi\'f9 astuta eleganza parigina che egli forse apprese quando nel 1878 and\'f2 a Parigi ospite del Goupil, la diretta discendenza d'Edoardo Dalbono da quella limpida e serena scuola di Posillipo che il Pitloo fond\'f2 e che Gigante, Ducl\'e8re, Carelli, Vianelli, Franceschini e il gran Palizzi portarono alla fama. L'ha gi\'e0 scritto Salvatore di Giacomo: Dalbono \'e8 il pittore della felicit\'e0, d'una felicit\'e0 chiara e riposata, \f1 -\f0 un piccolo uomo beato sotto un gran cielo azzurro, che guardando le nuvole mutevoli non s'accora se muta egli stesso verso la vecchiaia ogni giorno, appena pi\'f9 lentamente di come si mutano le nuvole, e che si distrae ad ogni musica che ode, lontana o vicina, forse n\'e8 lontana n\'e8 vicina ma soltanto sognata da lui, cantata dentro lui dal suo buon sangue meridionale. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj A proposito: Edoardo Dalbono, che \'e8 nato a Napoli nel 1844, ha studiato anche musica. Il maestro Lillo gl'insegnava contrappunto, lo trattava male, e il giovane Dalbono se ne accorava. Un giorno and\'f2 per la solita lezione, e un servo gli annunci\'f2: \f1 -\f0 Salute a voi! Il maestro \'e8 al manicomio. \f1 -\f0 Grazie. \'c8 segno che avevo ragione io, \f1 -\f0 rispose il pittore e lasci\'f2 la musica. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Il padre d'Edoardo, Carlo Tito Dalbono, fu uno scrittore colto e ispirato. D'arte scrisse, coi pregiudizii dell'epoca, dal 1834 fino alla morte, in tutti i fogli artistici di Napoli e di Roma, nelle \i Ore solitarie\i0 , nel \i Salvator Rosa\i0 , nell'\i Albo\i0 , nella \i Moda\i0 , nel \i Poliorama pittoresco\i0 , nel \i Tiberino\i0 , nella \i Pallade\i0 ; ma le sue \i Tradizioni popolari napoletane\i0 sono anche oggi un piacevole libro di poesia e d'erudizione. Si pu\'f2 dire che il figlio, da quando a Roma bambino cominci\'f2 a studiar disegno con l'incisore Augusto Marchetti, abbia passato la sua vita a illustrarlo coi suoi quadri. E la madre, Virginia Garelli, figlia dell'incisore di pietre dure Giovanni Garelli e sorella del paesista Gonsalvo Garelli, fu verso il 1850 una poetessa romana, ammirata quanto la Milli o la Mancini. La poesia ad Edoardo Dalbono \'e8 venuta per atavismo, per abitudine e per \'abambiente\'bb. \par \f1 -\f0 Adesso vi mostro l'album di mia madre. L'ha continuato mia moglie. \par \'c8 uno scorcio di tutta la pittura romana e napoletana degli ultimi ottant'anni: disegni del Camuccini, del Podesti, del de Vivo, del Postiglione, del Carta, del Consoni, del Coghetti, del Pitloo, del Garelli, del Gigante; poi Morelli, Palizzi (tre pecore, a penna: un portento), Fortuny, Altamura, Pagliano, Villegas, G\'e9rome, Michetti, Gandolin; gi\'f9 gi\'f9 fino a Brancaccio, a Migliaro, a Casciaro, a De Sanctis, a Quintilio Michetti fratello di Francesco, a Vetri che ha messo l\'ec nell'album una \'abtesta\'bb di di Giacomo, un di Giacomo di vent'anni fa, magro, bruno, nervoso, gli occhi alla cinese, socchiusi e maliziosi. \par Ho raccontato nelle prime pagine di questo libro come Dalbono conobbe Michetti. E del resto l'ha scritto egli stesso con quella vivacit\'e0 d'espressione che ne fa un conferenziere e un narratore e un critico d'un'originalit\'e0 inesauribile e impreveduta. \par Anc\'f3ra oggi, dopo quarantadue anni, egli parla del suo Michetti con l'amore d'allora, e alza le mani sul suo berretto di seta come a proteggersi dal contatto con qualche divinit\'e0 prodigiosa: \par \f1 --\f0 Michetti? \i Ma chillo \'e8 'o Pateterno ca l'ha fatto pittore!\i0 Non c'\'e8 un altro che sia nato pittore quanto lui. Ma non bisogna rompergli le scatole. Quello \i ll'avite lass\'e0 fa'\i0 , capite? Quando gli si mettono attorno a gridargli: \f1 -\f0\'abOh la psiche! Oh la profondit\'e0 della psiche! Oh il documento sociale! Michetti, voi siete la nostra bandiera!\'bb, e b\'f9m e b\'f9m e b\'f9m.... allora \'e8 finito. In pace l'hanno da lasciare. Lavora poco? Ma quello che ha fatto lui in vent'anni, basta per cent'anni della vita d'un altro. \i Dico buono? Approvate? \par \i0 E mentre acconsente a schiuderci un'altra cartella dove sono riuniti cento studii di figura e di paese disegnati o dipinti dal Michetti tra il '70 e il '78, \f1 -\f0 disegni che ricordano quelli di Fortuny, pecore che ricordano quelle di Palizzi, e acqueforti delicatissime delle quali non ho visto esemplari altrove, e testine modellate col pennello come allora Gemito solo modellava col pollice, \f1 -\f0 egli commenta con la sua bella fede giovanile impetuosa: \par \f1 -\f0 Modellato bene, eh? Che occhio! Che mano! Che costruzione! Che equilibrio, eh? Perch\'e8 gl'italiani sono scultori prima che pittori.... Non date retta agli storici per le scuole.... Gl'italiani sono prima di tutto scultori e architetti, e amano la forma. I nostri pittori pi\'f9 miracolosi non hanno cercato che modellare, modellare un bel pezzo di nudo, piano per piano, vigorosamente come tanti scultori. Gli altri, gli stranieri vedono piatto. Solo i pittori derivati dagl'italiani modellano. Aspettate. Conoscete la scultura di Michetti? \par E lasciando l\'ec sulla tavola sotto la lampada la cartella aperta, \'e8 scivolato via nell'ombra ed \'e8 tornato con una statuetta di terra, alta un palmo, rappresentante un ragazzo col dorso nudo e le mani sul dorso, e l'ha girata presso la fiamma come un orefice che faccia sfavillare alla luce un brillante. \par \f1 -\f0 Eh? Non \'e8 un miracolo? Che volete? L'italiano \'e8 fatto cos\'ec \f1 -\f0 e allungava il collo e chiudeva gli occhi con compunzione: \f1 -\f0 Tutti dicono che \'e8 finito, che \'e8 esaurito, che \'e8 morto. Ma l'italiano dorme, l'italiano si riposa, al sole. E gli altri lavorano, s'affaticano, s'affannano, soffiano. E d\'e0i e d\'e0i.... All'improvviso l'italiano s'alza \f1 -\f0 e con un gran gesto pareva scacciar via qualche mosca importuna: \f1 --\f0 L'italiano \i se sose\i0 e dice agli altri \'ab\i Statte, guaglio', ca mo 'o faccio io!\i0\'bb E fa lui, per tutti. Non abbiate paura. Verr\'e0 l'italiano che far\'e0 lui, per tutti. \'c8 venuto sempre. Verr\'e0 anche adesso. \'c8 una legge storica. \par Uscendo, in un salotto, Edoardo Dalbono mi mostra i suoi \'abantichi\'bb: due fastosi ritratti del Solimena che erano in casa Gravina, una mezza figura dello Stanzione, due di Luca Giordano, un bozzetto del De Mura. Egli adora il seicento e il settecento napoletani tanto ignorati dagli stessi napoletani. \par \f1 --\f0 Vedete quanta roba ho. Di quadri e di bozzetti e di disegni moderni ho casse piene. Se a Napoli avessimo una galleria d'arte moderna, saprei a chi darli, un giorno. Ma Napoli dove prima \'e8 rinato il paesaggio moderno, Napoli dove si pu\'f2 dire che sono nati i fratelli Palizzi, i Gigante, e Morelli, e Celentano, e Michetti, e Gemito, e Toma, e Netti, e De Nittis e altri cento che ai suoi tempi Goupil e Reutlinger a Parigi sapevano vendere a peso d'oro, Napoli, nossignore, non deve avere una galleria d'arte moderna.... E sia fatta la volont\'e0 di Dio! Iddio, lo sapete, sta a Roma. \par Edoardo Dalbono nel 1905 dal Ministero \'e8 stato incaricato di riordinare la pinacoteca, al Museo Nazionale. Lo aiutano Angelo Conti e Orazio Ferrara, un altro collezionista che aspetta una galleria d'arte moderna per affidarle le sue collezioni di disegni. \par Egli ha prima fatto d'ogni sala un bozzetto pieno di gusto e d'equilibrio; poi l'ha cominciala a riordinare, e il lavoro pare che ormai volga alla fine. Ogni giorno verso le due del pomeriggio egli va lass\'f9 e lava, spolvera, incornicia, inchioda, da s\'e8. \'c8 un po' tiranno. Angelo Conti fa qualche osservazione, timidamente. Dalbono non cede mai. Lo sta a sentire con una cornice sulla spalla, un martello in mano, e la barbetta volta furiosamente a sinistra. Lo sta a sentire, lo ringrazia, \f1 -\f0 e poi fa a modo suo. Un giorno Angelo Conti nella sala del Tiziano gli osservava che il Bode, l'illustre direttore del Kaiser Friedrich Museum di Berlino, avrebbe preferito di vedere il ritratto di Filippo secondo nel centro della parete maggiore dove invece Dalbono ha messo il gran ritratto di Paolo terzo tra i cardinali Alessandro e Ottavio Farnese. \par \f1 -\f0 Bod\'e8? E chi \'e8 il signor Bod\'e8? Ah, Bode.... Scusate, il signor Bode.... Ebbene, caro Conti, quando vedete l'illustrissimo signor Bode, ditegli che queste cose le venga a raccontare a Dalbono. E Dalbono gli risponder\'e0: \'ab\i Neh, illustrissimo signor Don Bode, vuie ll'avite viste maje 'e surece vierde?\i0 ... li avete veduti mai i sorci verdi?\'bb \par E con un inchino, levandosi il cappello, se n'\'e8 andato nella sala accanto, a piccoli passi frettolosi. \par \pard\lang1040\f2\fs24 \par }